Leonardo

Fascicolo 10


Un filosofo straordinario  (F. De Sarlo)
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 5-9


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p. 9

   (1)Professore straordinario di filosofia, Francesco de Sarlo è meno che ordinario come filosofo; anzi non è punto filosofo, nè può esserlo, poichè, per sua disgrazia, si è fatto professore. Monotono nelle lezioni, stinto nei libri, corto di ali in metafisica, deboluccio di gambe in logica, senza immaginazione mitica filosofica, unisce a una grande cultura una straordinaria mancanza di originalità. Non avendo idee proprie, conosce molte di quelle degli altri; e confusamente e oscuramente getta nei suoi libri panieri di metafisici tedeschi, carretti di fisiologi inglesi e vagoni di psicologi americani. Così ammucchia disordinati cumuli di idee, che manda fuori col titolo di saggi, o di studi, e che lo meritano tanto, quanto a un mucchio di sassi si addice il nome di casa. La sua erudizione lo soffoca; il suo sapere lo seppellisce; e la sua piccola voce, se mai ne ha una, sparisce nel grande babelico coro di opinioni e di lingue che scappa fuori da' suoi libri come da un'orchestra senza direttore(2). Si è tanto preoccupato di quello che gli altri pensavano che non ha avuto il tempo di metter fuori sè stesso; a forza di leggere ha dimenticato lo scrivere; e nei suoi volumi si cerca indarno, ansiosamente, pina dopo pina, questo signor de Sarlo, che ha fatto promessa in copertina di farsi vedere, e che non si mostra mai, come un artista eternamente raffreddato. Ne' suoi scritti, infatti, c'è posto per tutti, meno che per lui; si sente la voce di tutti, meno che la sua; sicché finisce per rassomigliare a un proprietario di case che ha tutto affittato e che dorme all' osteria. — Confesso umilmente che non intendo perché su' suoi libri ci stampi il suo nome; io ci scriverei piuttosto: «Zibaldone di idee dei signori Teichmüller, Wundt, Stuart Mill, Taine, Green, Bradley, James ed altri, con critiche in prima istanza di Francesco de Sarlo, professore.» Sarebbe più esatto — e più onesto. — Ho detto: «critiche in prima istanza », e mi spiego. Voglio dire: critiche da giudice conciliatore, di piccolo conto e superficiali, che lasciano il tempo che trovano, e ammettono due o tre gradi superiori di appello. La critica del prof. de Sarlo è facilmente anatomizzabile; ed oggi mi farò lo scalco di un così bell'animale. È semplice, breve, fatta di tre gesti, immutevoli e meccanici, come quelli di un fantoccio o di una macchinetta. Primo gesto: sì riassumono le idee che si voglion combattere. In ciò, il prof. de Sarlo riesce bene; e gli ho scoperto nel farlo delle attitudini da fare invidia agli operai di Liebig, e da presentarlo come un pericoloso concorrente a un posto di sotto-cuoco. Ve lo raccomando anzi, se avete una Rivista, per le recensioni; le farà da specchio, da lastra fotografica, come un lapis copiativo, senza storcere troppo l'autore, con poco spirito e molta coscienza, scrupoloso fino al punto di leggere i libri di cui deve parlare. — Secondo gesto: ci si mette gli occhiali, e si cercano le contraddizioni, con la cura di un cane che spopola i pargoli. Voi sapete bene, che il trovare contradizioni è cosa facile e superficiale; che la fanno, per addurre un esempio, i maestri di scuola socialisti, i logici arrabbiati, e i ragazzi poco intelligenti. Le idee infatti, sono cose vissute; e nella vita non c'è contraddizione, ma solo diversità. — Terzo gesto: è il più comico e il più complicato, ha della farsa e del manuale da esorcista. Immaginatevi un uomo che voglia riescire un buon giocoliere, come deve essere ogni metafisico che non teme ne salti, nè audacie; e che intanto quest'uomo si sia legato ai piedi due belle palle di piombo. Che cosa accadrà? che quando voglia slanciarsi per aria, o scivolar sulla corda, o gettarsi nel vuoto di trapezio in trapezio, lo vedrete invece agitare vanamente le braccia come un passerotto dalle ali monche, e saltellare, come un grillo, a piccoli scatti. Tale è il nostro autore nel pensiero e nello stile. Egli infatti si è legata ai piedi la preoccupazione scientifica, la credenza alla verità assoluta, il dogma della legge, il feticcio della morale non-relativa. E si è impliati cinque o sei fantocci spaventapasseri, vestiti con le più stracciate casacche della sua guardaroba filosofica, cui ha messo nome scetticismo, illogicità, immoralismo e cosi via; appunto come nelle farmacie certi barattoli e certe boccette ci han sopra le ossa incrociate e il teschio di morto per spaventare gli incauti. Con questi fantocci alla mano — ed ecco il terzo gesto — il prof. de Sarlo si mette innanzi ai pensatori che non gli garbano, e cerca di impaurirli, proprio come le balie fanno dell'orco e della befana con i putti. Per il suo piccolo mondo filosofico — e il suo orizzonte mentale non è più grande della sua barba — egli ha messo dei cartellini ammonitori come quelli che le società dei ciclisti sogliono mettere alle svolte strette e alle scese rapide; e come questi sono per la salvezza del corpo, così i suoi son per la salvezza dello spirito, e quando qualcheduno tenta passare di là da quelli, egli si avanza risoluto e si mette a gridare: attenti che questo signore oltrepassa i legittimi confini del pensiero! quest'altro cade nel più orrido scetticismo! eccone un terzo che scivola nella immoralità! — La sua critica, dunque, è composta di tre gesti: comincia coll'esporre, seguita con lo spulciare contraddizioni, finisce con l'ammonire e lo scomunicare. La storia della filosofia si trasforma in una serie di favolette morali, con la sua brava conclusione in fondo: Pierino (ovvero Nietzsche) per avere disprezzato i consigli del padre (o quelli di Santa Madre Logica) cadde in un burrone (cioè nel più gretto immoralismo); imparate, o fanciulli (o filosofi) a ragionar bene per l'avvenire. — F. de Sarlo è l'autore della morale della favola filosofica; speriamo presto di farci gli autori della «Favola della Morale Filosofica».

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   Io sarò forse un filosofo maleducato, cui piace sbacchettare le idee addosso alle persone, e spolverar le parrucche in capo alla gente, piuttosto che addosso a un fantoccio o sopra un attaccapanni, come si fa dei vestiti. Ma certo — e me ne rincresce pel maligno lettore — io non sono uno studente bocciato o uno scribacchino pato. Io non faccio il cacciatore di cattedre o il burocratico della filosofia, nè aspetto dal tempo, dalla morte dei colleghi e dagli onesti lavoratori la ricompensa di un incarico universitario; e se mi diletto a dir male della gente, è perchè trovo la cosa carina e il metodo più adatto al mio temperamento. Nella mia dispensa è più facile trovare aloe che miele; e la frusta mi è sembrata sempre più nobile della spazzola da scarpe. Sarò forse un dilettante — e per dare uno schiaffo alla modestia, osserverò che Leonardo doveva sembrarlo agli scolastici del suo tempo — un dilettante neppur così intransigente nè così rigoroso, da non ammettere che qualche volta per distrazione un professore di filosofia possa essere per caso anche un filosofo; son così poco un bigotto del dilettantismo, che ho tentato l'avventura, ed ho cercato se mai il prof. de Sarlo si fosse distratto dalla sua qualità di professore, e se gli fosse accaduto di fare il filosofo; ho ascoltato sue lezioni, ne ho lette opere; e per prova di questo mio coraggioso esperimento son qui a raccontarvi i miei accidenti. Bisogna che vi confessi, per prima cosa, che ho dovuto superare il mio vivo e istintivo orrore per la filosofia dei professori. Insegnare filosofia mi è sembrata sempre una cosa ridicola, che mi faceva pensare a delle cattedre di gusto, a dei professori di poesia, a dei concorsi di prudenza, e a degli studenti di bonomia.
   Io avevo l'eretica opinione — e confesso umilmente di tenderci ancora — di non prender la filosofia per un abbaco, di non scambiare i sistemi con la tavola pitagorica, e di credere che la filosofia sia un modo singolare di vita datoci per fondamento dalla natura, non regalatoci a piccole dosi durante gli anni di insegnamento. Un diploma di filosofo, appiccicato da una riunione di professori, col sigillo dello stato, mi è sempre apparso la più ridicola commedia del mondo, la truffa sociale meglio organizzata e più impudente che mai abbia conosciuto. Ma per quanto il prof. De Sarlo, a queste truffe ufficiali, prenda involontariamente parte ogni anno, io non ce l'avevo con lui personalmente per questo peccato che ha in comune con novecentonovantanove su mille filosofi di Italia. Io ce l'ho presa soltanto da che ho letto le opere sue. Esse mi hanno ingiuriato di una tale ingiuria da non poter mandare loro i padrini o sporger contro querela. Esse mi hanno offeso atrocemente: mi hanno annoiato, ed io sono di quelli che vorrebbero ristabilita la pena di morte per i noiosi. Così la pensava Stendhal e così ho il torto di pensarla anche io. Ci voleva questo, e questo solo perchè il professore De Sarlo diventasse il tipo dei professori ufficiali, con le loro duplici o triplici lauree, e gli anni passati in Germania, e le classificazioni nei concorsi, e i lavori e i lavoretti di varia specie, cui tengono con tanta cura e con lo stesso fine, di un impiegato di Sali e Tabacchi ai suoi punti di merito. Stampano i libri per gli esaminatori, con le noterelle adulatrici e le recensioni laudative; nessuno li conosce, nessuno li legge, fanno una classe a parte, una filosofia di famiglia, con le piccole bizze e le invidie segrete e i dispettucci anonimi e la malignità del dopo pranzo di tutti i piccoli club. — Io non parlo qui del professore De Sarlo, che anzi ha un lato simpatico, quello di far poche recensioni e di aver mostrato un certo coraggio nel combattere, quando dominava, il positivismo italiano. Non già che abbia detto cose nuove. W. James ne aveva dette e di ben altre, al re del momento, H. Spencer. Qui in Italia però, potevan passare per nuove e per audaci. Criticare la metafisica darwinista fin dal 1887, citare con stima il Du Prel nel 1887, è segno di una certa libertà di pensiero che va apprezzata. E di questa libertà che io apprezzo, è segno l'Appendice ai Saggi di Filosofia Contemporanea, dedicata al Positivismo Italiano; nel qual libro, del resto, vi sono anche buone osservazioni generali. Il De Sarlo ha avuto il merito di indicare nel Positivismo Italiano, il peggior tipo di Positivismo che ci fosse in Europa; e di vedere che era un materialismo larvato (p. 167); e che molti che andavan per la maggiore, e si mettevano alla ribalta come spiriti originali, Gaetano Negri per esempio, non eran che parolai gonfi di termini filosofici, senza un'idea chiara in mente. Così egli ha scoperto le relazioni fra positivismo, media cultura, sentimento democratico e socialismo (p. 239); e la trasformazione delle leggi naturali — tipo l'evoluzione — in tante ipostasi che agiscon per la propria forza (p. 47); e la smania dei positivisti di avere il monopolio dell'esperienza, mentre la loro non è che la meno importante, l'esterna. Veramente quel libro se fosse stato scritto con un po' più di lievito, con maggior leggerezza, se non ci si sentisse fra le righe ii professore che fa lezione dalla cattedra, se l'autore avesse più garbo nell'esporre, più vivacità nel criticare, se non adoprasse dieci pagine per dire quello che si mette in due, se non fosse usato a non sentirsi rivoltare lo stomaco con una «rutina dei sentimenti» — non ci facesse irritare con «i psicologi» e non ci aggravasse col pesante uso del continuo e ripetuto «in tanto .... in quanto»(3) — quel libro avrebbe potuto essere per l'Italia un modello di libello filosofico, come quello che il Taine ha regalato alla letteratura francese sotto il nome di Philosophes Classiques(4) e che noi aspettiamo dal nostro amico Gian Falco con il Crepuscolo dei Flosofi. La materia c'era e si prestava; la mano che aveva presa la granata per pulire l'Italia filosofica è stata infelice.
   Scrittore pesante, tardigrado dello stile, il professore De Sarlo è un misero filosofo teorico; quando dopo un lungo catalogo delle altrui idee, vorrebbe conchiudere personalmente sulla Nozione di Legge egli casca in un tormentoso e tormentato imparaticcio hegeliano:.... «le essenze delle cose vanno considerate come funzioni, atti di un reale d'ordine diverso (d'ordine più elevato) e questo va, alla sua volta, considerato come funzione di un reale ancor più elevato fino a giungere al Reale che tutto in sè contiene e di cui l'universo è in funzione. Obiettivamente l'elemento intelligibile è una cosa sola con l'elemento esistenziale, il was è inseparabile dal dass, l'ideale è nel reale, pensiero e azione (se possiamo dir così) coincidono; ma mediante l'intelletto umano avviene la disgiunzione, onde è resa possibile la formazione delle leggi esistenti per sè nella mente umana (Saggi I, 122)! — Come poi l'intelligenza umana, che deve, mi pare, far parte o del pensiero o dell'azione, ne, stia fuori e possa disgiungerli, è cosa che comprende soltanto chi ammette «un'intima ragionevolezza che anima il tutto» (Saggi, I. 121 ). Forse questa ci sarà — meno che nel periodo esaminato.

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   Ma il nostro autore è poi afflitto da una piccola mania, con cui tormenta il lettore; anche lui, come altri, ha la sua marotte, la sua idea fissa, che lo domina traverso i suoi libri: quella della legge. Egli cerca da per tutto leggi, scopre da per tutto leggi, vuole da per tutto leggi. La sua è una filosofia legislativa, che neppure un presidente di cassazione pensionato si sarebbe divertito a fare, invece di giocare a tarocchi o raccontare malignità sui colleghi. Quando leggi non ne trova, allora afferma che bisogna, che è necessario, che si deve trovarne. E, se per avventura, scopre qualche contradittore, allora si imbizzisce e gli getta contro le più terribili accuse della sua raccolta di peccati mortali filosofici. Ci dice infatti: «Non può esser vero per la mente se non ciò che è intelligibile, e non è intelligibile se non ciò che è conforme a ragione, come appunto la legge, l'ordine, il rapporto.» (Filosofia Contemporanea I, 233). Senonchè, posto questo senza accettarlo (e come accettarlo se il non-intelligibile è continuamente presente a noi nella produzione continua dei fatti nuovi, nel cangiamento incessante delle cose) non vi potrebbe essere chi si dilettasse a dire, che poichè ordine e leggi, nel senso rigoroso della parola, non si trovano nel mondo, dichiarasse questo mondo ingannevole, e cadesse, per dirla forse con il prof. de Sarlo, nel più orrido scetticismo? Ma allora ci si opporrebbe forse quello che trovo scritto a pina 230-2 della Filosofia Contemporanea; «Affermare che nulla vi ha di necessario al mondo, che non vi ha sistema, ordine, coerenza, equivale a contraddire all'esperienza (la quale, si noti, anche secondo l'Autore dà fatti e non leggi) ed ai suggerimenti della ragione (preziosi questi «suggerimenti»!), anzi è negare la ragione stessa (e che male ci sarebbe? non è mica intangibile) e per dippiù (la grafia della parola appartiene al prof. De Sarlo) equivale a dichiarare l'impossibilità della scienza e della conoscenza umana (ma sono forse dei tabou queste signore?) ... Come si potrebbe intendersi (anche i due «si» son del prof. De Sarlo) fra uomini, come si potrebbe regolarsi (c. s.) nella vita, e come potrebbero aver senso le parole esperienza e conoscenza, se non si avesse fede (fede: capite!) in qualche cosa che è, necessariamente è, e deve essere?» — Sicchè per difendere la scienza, egli non ha trovato altro che quello che tutti ammettono, anche gli scettici e i contingentisti (son queste tendenze infatti che hanno il potere di scandalizzarlo); quello che anche un nichilista del pensiero, un cospiratore contro la logica, gli accorda volentieri; cioè, che la base del sapere, la ragion d'essere della scienza, sono le esigenze pratiche, i bisogni sociali, i decreti del sentimento e le impulsioni della fede. Quanto ad argomenti razionali, a giustificazioni logiche, non è stato capace di trovare neppure un paio di magre gruccie per mandare avanti la sua zoppicante padrona.

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   E qui chiedo perdono al lettore: io non so scrivere una critica che non sia un diario di impressioni, e tratto le idee, gli uomini e le cose come degli alberghi, dei luoghi di lungo rifugio o di corto e semplice ristoro. E poichè mi sono costituito qui, in certa guisa, Cicerone filosofico, non posso consigliare a nessuno i libri di F. de Sarlo; il quale è un cattivo albergatore, dai letti cattivi, dalle vecchie lenzuola e dai bicchieri sporchi; la sua cucina è tedesca, la sua birra grave. Non c'è in lui gioia da sperare, nè voli da aspettare; tutto precede grave e lento come un funerale, e l'autore sembra in verità più un intraprenditore di pompe funebri che uno scrittore vivente di libri filosofici. Un professore, infatti, non è un filosofo; così uno scienziato non è uno psicologo. Pure questa deve essere la più cara illusione del prof. de Sarlo, il quale, se ha a cuore i Saggi e la Filosofia Contemporanea, non tiene meno ai Dati dell'Esperienza Psichica grosso volume di 500 pagine in quarto, escito fresco fresco nelle edizioni del Regio Istituto di Studi Superiori in Firenze. Libro ufficiale, di un filosofo ufficiale, per un pubblico ufficiale: queste sono le tre qualità più personali che son riuscito a trovarci. L'autore è uno psicologo-scienziato, cioè, negato, per definizione, alla psicologia. Egli conosce bene quanto è stato scritto sull'argomento che tratta; e per quanto non faccia citazioni, tuttavia ogni tanto, si vede far capolino la testa di qualche psicologo conosciuto. E non ci sarebbe nulla di male; le idee degli altri son fatte per esser conquistate e messe a nostro servizio. Il male è che il de Sarlo manca di forza e di coraggio, resta indeciso fra le idee opposte, prende la via delle conciliazioni. La materia comanda l'autore, e non l'autore la materia; è lei che dilaga in interminabili capitoli, si stringe in strane conclusioni od evapora in discussioni di parole. Si esce dalla lettura di quel libro affranti come da un caos; stanchi per la mancanza di un filo direttore, di un'idea dominante, di qualcosa di superiore che ci conduca di sopra dai fatti. Il filosofo che dovrebbe essere il gendarme dei fatti e l'idraulico delle teorie, qui lascia fare e lascia passare, si mostra un governatore senza autorità. Si prenda, per addurre un esempio, il capitolo sulla Intensità, dove sono un po' meglio esposte che combattute, le idee di I. Tannéry e H. Bergson sull'argomento, e si vedrà l'oscillare della mente del de Sarlo fra le due teorie, quella della Contingenza che non ammette misura degli stati di coscienza, e quella Psicofisica che l'ammette. Ora colà non v'è luogo che per una risposta determinata: o per il sì, o per il no. La misura è cosa matematica, non elastica ma rigida, cioè da ammettersi intiera o no. O accettare fino alle ultime conseguenze l'applicabilità del numero alla coscienza, o negarla completamente. O la coscienza è qualità, e allora non soffre misura, o è quantità e allora la soffre. Tra le due bisogna avere il coraggio di decidersi: il prof. de Sarlo non l'ha. — Questa mancanza di decisione, che insomma è mancanza di personalità, si nota in tutta l'opera del de Sarlo. Sarebbe nato per fare lo scienziato, per tagliare nervi, osservare termometri, mescolare acidi; si è fatto invece psicologo. E poco o tanto ci ha portato i vizi della sua prima attività, la biologica. — La psicologia, per fortuna, non è una scienza; e l'avvicinarsi a lei, come fa il nostro Autore, con il bisturi della logica, i cataplasmi delle esperienze e le trappole da acchiappar verità (in lingua povera: gabinetti sperimentali), equivale a corteggiar le femmine con le scarpe rotte e la barba mal fatta. Le donne non hanno la cattiva abitudine di darsi ai poveri, e gli scienziati, come si sa, sono la più misera gente di questo mondo. Infatti, quale sarebbe la loro ricchezza? la realtà. Ma i concetti, i raziocini, le formule di cui usa la Scienza, sono bellissimi giochi, e pochi, in verità, ne conosco, che più mi dilettino. Se non che pensare con quelli di afferrare la realtà vivente dell'animo, val tanto quanto asciugare i pozzi con le reti. Ecco perchè gli scienziati, con tutti i loro ordigni, non riescono a cogliere quella fuggevole realtà dell'animo, la quale invece ci dona la pura e semplice intuizione. La vita è di chi vive; non di chi pensa alla vita. — Vediamo infatti a cosa conducano i metodi del prof. de Sarlo. In un Saggio sull'origine delle Tendenze Immorali — e notate bene che queste ultime per lui sono la stessa cosa che anti-sociali — ha sostenuto che il bugiardo è un individuo isolato. Un tale errore grossolano, sarebbe bastata la più semplice intuizione degli uomini e la più facile esperienza di vita, per dissiparlo. L'uomo isolato è invece, l'uomo sincero. Il Misantropo è isolato; e diventa tale perchè si mostra sincero con gli uomini: tanto da farsi odiare e da odiarli; Molière è, in questo, più psicologo del prof. de Sarlo, per quanto non conosca Wundt e la sua rivista. La società si regge sulla convenzione, sulla formalità, sul protocollo, insomma sulla bugia, in marsina se si vuole, ma sempre bugia. L'uomo sociale, non isolato, è l'adulatore. L'uomo che incontra, che piace è quello che dice bugie gradevoli. Kipling, che è lui pure psicologo più fine di coloro che conoscono Mùnsterberg, in un dialogo pieno di acutezza fra lo sciacallo e il coccodrillo, mostra che ci piacciono anche le lodi che sappiamo bugiarde; e i Romani nella Rinascita, avevano un proverbio che diceva: «Tu menti per la gola, ma io ci godo(*).» — Basterebbe questa osservazione per rivelarci cosa sia e cosa rappresenti il de Sarlo nella psicologia; egli, malgrado tutto, è ancora un razionalista, ed è quindi condannato a girare intorno alla realtà dell'animo senza mai penetrarla. I suoi libri sono assai utili, danno delle buone indicazioni, e in fatto di psicologia, non saprei di opere italiane, indicarne una migliore di questa ultima del prof. de Sarlo. Soltanto è la psicologia di uno condannato a stare lontano da quello che vorrebbe possedere. Dobbiamo dirlo Il prof. de Sarlo rassomiglia a un portinaio, che ci dice dove stanno gli inquilini, ma non ci va mai in casa; è il guardaportone della psicologia.

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   Debbo chiudere con una triste notizia. Le ultime pagine sui Dati dell' Esperienza Psichica ci minacciano un'Estetica. La cosa merita considerazione, non tanto per la disgrazia di doverla leggere, e per il piacere di dirne male, quanto perchè segno dei tempi. L'Estetica è alla moda, come i cappelli Panama e i panciotti di colore; letterati e filosofi se la disputano: i primi si infarinano di filosofia e fanno visita a Kant; gli altri si dirozzano e leggono dei poeti. Per far loro commettere simili mèsalliances ci deve essere qualche grave motivo. L'Estetica è una bella veste di gravità, con cui si può coprire la sua sorella andata a male, la Critica d'Arte. La Critica d'Arte non rende più? si cambia il cartellino, il vino d'Asti diventa Champne, il pubblico abbocca e i giovani si danno all'estetica, come due anni prima si davano alla Storia dell'Arte, e dieci anni fà alla Filologia Comparata. Dalla direzione di studi, mi potete calcolare l'età di una persona. — Per fare figura — ed è la cosa essenziale, anche in filosofia — bisogna essere alla moda. Vedremo dunque il prof. de Sarlo travestito da esteta? Mi dispiace: mi sembrerà allora un operaio endimanché.

(1)Il prof. de Sarlo in questo piccolo saggio è preso come rappresentante di una quantità di tendenze che noi combatteremo; la filosofia ufficiale, i filosofi insegnanti, il razionalismo di qualunque specie, le abitudini concettualiste, le simpatie per la logica. Più che una persona, si è preso di mira il simbolo; e più che un saggio, questo è un programma. Nel volume promesso, a ciascun saggio seguiranno notizie biografiche e bibliografiche, qui omesse per brevità.

(2)Del resto la coltura del prof, de Sarlo non è eccessiva; e per darne una prova, si è lasciato scappare questa «anche Voltaire derideva l'Hegelismo, pure mostrando di non conoscerlo affatto» (Studi sul darwinismo, Napoli 1887, p. 5). Ecco, a dir la verità, in questa cosa, l'ignoranza non è tutta del Voltaire!

(3)Che «i sentimenti seguono una certa rutina nel venir fuori» si trova nell'opuscolo I Sogni, Napoli 1887, p. 28; come un'altro esempio di stile fiorito si trova a p. 78 dal citato lavoro sul darwinisrno, dove tour de force vien tradotto con giro di forza. Quanto a «i psicologi» e l'«intanto ... in quanto» sono locuzioni proprie e caratteristiche del prof. de Sarlo, note a chiunque ne abbia letto le opere. E per la scelta di immagini con cui lardella i suoi scritti, basterà quest'esempio: «L'idealità sociale è un fuoco fatuo, che, come qualcuno ha detto, brilla in cielo e ci fa esclamare: Oh bello!...» (Studi sulla Filosofia Contemporanea 1901, p. 240).

(4)Del TAINE Philosophes Classiques si legga la prima edizione, non quelle posteriori castrate quando il Taine diventò accademico.

(5)MONNIER, Le quattrocento, Paris 1901, vol. I, p. 58.


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